E’ molto frequente che, terminata una relazione, il partner decida di trasferirsi in altra città, non avendo più legami che la trattengano.
Qualora, però, questo comporti l’allontanamento del figlio dal padre, senza che questo abbia prestato alcun consenso, si va incontro all’integrazione del reato di sottrazione di minore ex art. 574 del nostro codice penale.
Difatti, nel nostro ordinamento vige il principio dell’affidamento condiviso che, applicato statisticamente nella maggior parte dei casi, colloca il figlio presso uno dei genitori, permettendo all’altro, attraverso il diritto di visita, di espletare i propri doveri genitoriali attraverso la vigilanza sulla crescita ed educazione del figlio ed attraverso l’instaurazione di un rapporto già viziato dalla mancata convivenza.
Nel momento in cui il genitore collocatario decida di trasferirsi senza il consenso dell’altro, sottrae al genitore il potere-dovere di esercitare il controllo sul proprio figlio, rendendone impossibile e difficoltosa l’affermazione dei diritti e doveri in capo all’ex partner.
Sulla base di tali principi, da ultimo la Cassazione penale, sez. VI, 30 agosto 2022, con sentenza n. 32005 ha ritenuto colpevole la condotta di una madre che ha deciso di trasferirsi lontano dal padre nonostante il dissenso di quest’ultimo, rendendo più difficili i rapporti padre-figlio e specificando che A nulla rileva che il padre fosse a conoscenza della residenza presso la quale si trovava il minore. Per la Cassazione, integra il delitto ex art. 574 c.p. l’interruzione del legame tra minore e genitore dovuta a qualsivoglia ostacolo che non abbia carattere e durata meramente simbolica e che impedisca la coltivazione di un rapporto stabile e continuativo tra i due.
In parole diverse, secondo la Cassazione, commette il reato di sottrazione di minori il genitore che ostacola il diritto di visita dell’ex se prima non ha ottenuto il nulla osta da parte del tribunale. Nel caso deciso dalla Corte Suprema, una madre era accusata di aver reso più difficoltosi gli incontri del figlio con il padre in seguito al cambio di residenza su propria decisione unilaterale.
Secondo i giudici, tale comportamento integrava il reato di sottrazione di minore in quanto l’illecito penale scatta in presenza di una «interruzione significativa del legame tra minore e genitore e cioè della loro mutua relazione, che si realizza con qualsivoglia ostacolo che non abbia carattere e durata meramente simbolica e che impedisca la coltivazione di un rapporto stabile, continuativo e autonomo tra un figlio minore e uno dei suoi genitori».
Il reato in questione si configura quando «la condotta di un genitore, contro la volontà dell’altro» prevede la sottrazione a quest’ultimo del figlio per un periodo di tempo significativo, «impedendo l’altrui esercizio della potestà genitoriale e allontanando il minore dall’ambiente d’abituale dimora» ostacola il diritto di visita dell’ex se prima non ha ottenuto il nulla osta da parte del Tribunale.
Nel caso deciso dalla Corte Suprema, una madre era accusata di aver reso più difficoltosi gli incontri del figlio con il padre in seguito al cambio di residenza su propria decisione unilaterale. Secondo i giudici, tale comportamento integrava il reato di sottrazione di minore in quanto l’illecito penale scatta in presenza di una «interruzione significativa del legame tra minore e genitore e cioè della loro mutua relazione, che si realizza con qualsivoglia ostacolo che non abbia carattere e durata meramente simbolica e che impedisca la coltivazione di un rapporto stabile, continuativo e autonomo tra un figlio minore e uno dei suoi genitori». Il reato in questione si configura – giova ripetere – quando «la condotta di un genitore, contro la volontà dell’altro» prevede la sottrazione a quest’ultimo del figlio per un periodo di tempo significativo, «impedendo l’altrui esercizio della potestà genitoriale e allontanando il minore dall’ambiente d’abituale dimora».